Gino Ferrari
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La mia conoscenza, amicizia e consuetudine di vita e rapporti con Danilo Andreose risale al primo dopoguerra (1946) quando, io studente dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, lui dell’Istituto d’arte prima e dell’Accademia di Belle Arti della stessa città, in seguito, facevamo i pendolari ritrovandoci sul treno Bassano – Venezia quasi quotidianamente per alcuni anni. Si instaurò fra noi un’amicizia fraterna, accumunati, come eravamo, da vicini interessi di cultura; interessi esaltati dal fatto di condividere alcuni Maestri (in primis Giorgio Wenter Marini, anche lui pendolare Venezia – Bassano). quando poi Danilo, raggiunto il diploma accademico, si sposò e da Pove emigrò a Bassano, trovò alloggio in una casa di mio padre, adiacente alla mia; e, dopo la mia laurea, il nostro divenne anche rapporto, in molte occasioni, di collaborazione di lavoro. Di Danilo, quale scultore spesso impegnato in opere di completamento di architetture con espressioni plastiche in marmo o in bronzo, e più spesso in ceramica, conoscevo gli interventi in costruzioni arredi di Bonfanti; con me la collaborazione si estrinsecò soprattutto in lavori di carattere religioso (altari di chiese, fonti battesimali, via crucis, ecc.) nel periodo (anni ’60 – ’70) in cui ebbi l’opportunità di costruire una serie di edifici di culto.
Di Danilo ricordo soprattutto il profondo rispetto (del resto da me ricambiato nei suoi riguardi) che Egli aveva del lavoro degli altri professionisti, per cui, se alcuni suggerimenti si sentiva di esprimere, mai imponeva una propria visione estetica che andasse a porsi in contrasto con l’espressione architettonica.
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Ma tanti altri ricordi si affacciano alla mente: il lavoro comune all’interno della Commissione Edilizia di Bassano (con le relative lotte condotte insieme) della quale Lui fu Presidente per lungo tempo ed io rappresentante della categoria professionale per alcuni anni; le Mostre allestite insieme, da quella di Minguzzi a quella del Disegno degli Scultori Italiani, a quella di Depero (con l’amico Passamani); le lunghe chiacchierate, ed a volte discussioni, di arte ed architettura, magari nella solitudine notturna delle Piazze di Bassano, con gli Amici del C.A.B.; i giocosi interventi per addobbare le sale deputate ad accogliere, nei lieti carnevali degli anni ’50 e ’60, i veglioni studenteschi; i “services” del Lions Club, di cui entrambi facevamo parte, spesso rivolti a manifestazioni d’arte e le argute, interessanti, complete Sue spiegazioni quando faceva la “guida turistica” in gite a città e monumenti d’arte d’Italia, in particolare nell’Etruria che tanto amava.
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Di Danilo ora mi resta il ricordo, incancellabile, di un amico e collaboratore come pochi.
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Gino Ferrari, architetto
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(dal catalogo della Mostra “Andreose scultore 1922 1987“, Gilberto Padovan Editore, 1993)
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