top of page

Paolo Rizzi

​

Ciò che mi colpisce, in Danilo Andreose, è soprattutto la naturalezza con cui svolge il suo discorso plastico. Nessuna artata forzatura, nessuna ambiguità semantica: bensì un fluire di forme nello spazio che obbedisce a regole auree, a grandi ritmi spontanei. Ritrovo questi ritmi appunto nella primaria forza della natura, ricondotti ad un equilibrio che non esiterei a definire “classico”, nel senso di una misura squisitamente umana. Andreose, in effetti, non pensa di violare le leggi che presiedono l’uomo e l’ambiente in cui vive: vi si adatta, semmai, con serenità, ed in esse, nella loro straordinaria ricchezza, trova gli spunti inesauribili per le sue creazioni plastiche. Qui sta la chiave primaria per avvicinarsi a queste sculture che potrebbero apparire “astratte”, cioè formalistiche ed estetizzanti, ed invece non sono che il riflesso di una natura vista, capita, amata ed interpretata nella sua rigogliosa pienezza vitale.

​

Andreose si sente infatti, secondo la lezione del suo grande maestra Arturo Martini, come un maieuta della natura: colui che aiuta la natura a rivelarsi nell’arte, estraendone i succhi, le linfe segrete, gli umori. Ecco quindi che i bronzi o i marmi si sviluppano nello spazio con una morbidezza spontanea, appena corretta da nervature ed elastici scatti verso l’alto, secondo cadenze che si dilatano e si contraggono quali profondi respiri: la “macchina” naturale vive una sua vita organica, ora screziata dalle picchiettature del marmo, ora rugosamente gonfiata nel bronzo quasi come una corteccia aperta. Dentro, le pulsazioni obbediscono a regole che sono insieme naturali ed intellettuali, primitive e raffinate, cosicché la forma cresce con alternanza di ali concave e convesse, espandendosi verso l’esterno o covando nel segreto midollo umidi anfratti. E la luce gioca a rimpiattino entro questa materia viva, rifrangendosi dolcemente o scattando per improvvise estroflessioni.

​

Ma alla fluidità organica del fatto plastico, ai ritmi liberi e controllati, all’armonia tutta naturale, s’aggiunge – ed è qui il nocciolo del discorso plastico di Andreose – una lontana eco di cultura, che scorre come un alito lievissimo e fascinoso. Con discrezione, direi con pudore, l’artista avvolge le sue opere in un’atmosfera di arcana mitologia mediterranea: sono accenni, suggestioni allo stato larvale. L’inserimento di tutta una tradizione plastica italiana, coagulatasi nel momento dei maestri degli anni Trenta e Quaranta, avviene senza sforzo, in una dimensione culturale rinnovata dalle altre esperienze europee: cosicché un Martini o un Manzù si fondono idealmente con Arp o Moore. E’ un punto di contatto estremamente delicato, che può confluire con facilità dell’elegante manierismo. Ma Andreose, forse per la sua “misura” umana tutta veneta, riesce a sfuggire alle grandi sirene, pur risentendone il canto melodioso. Forse la parvenza di una morbida forma nello spazio può suggerire il torso d’una Minerva o d’una Amazzone: è appena un balenio, che basta a dare tutta una dimensione mitica alla scultura. Ma è sempre la gran madre natura ad accogliere nel suo grembo le antiche seduzioni. E tutto riprende a pulsare secondo le cadenze di una bellezza incontaminata.

​

Paolo Rizzi Giornalista e Critico d’Arte

​

(Introduzione al catalogo della mostra di Danilo Andreose alla Galleria Santo Stefano, Venezia, 1973)

​

Alcune immagini e i testi inseriti in questo sito sono raccolti in rete, altri provengono da cataloghi già pubblicati e sono quindi considerati di pubblico dominio. Viene data attribuzione a testi e immagini laddove l'autore sia riconoscibile. Qualora la loro pubblicazione violi dei diritti vogliate comunicarcelo per una pronta rimozione. 
Per eventuali informazioni relative alle opere disponibili, grafiche e plastiche, potete contattarci qui.

Sito a cura degli eredi Andreose.
bottom of page